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Il caso dell’ipovisione
L’ipovisione è “una minorazione visiva, ossia una riduzione più o meno grave della funzione sensoriale che consegue ad un danno avvenuto a carico dell’apparato visivo”; talvolta, la confusione tra cecità e ipovisione costringe le persone interessate a rimanere prigioniere di una logica assistenzialistica, che riduce le opportunità di co-evoluzione; in realtà, l’ipovisione si caratterizza autonomamente rispetto alla cecità non solo dal punto di vista medico/oftalmologico, ma anche psicologico e psicosociale, essendo fortemente correlata ai cambiamenti dei fenomeni fisici e alle stesse reazioni da parte del soggetto coinvolto.
L’aver troppo a lungo ignorato questo problema ha comportato un ritardo nella riflessione teorica e nella individuazione di azioni mirate, volte a contenere l’ipovisione nello stretto ambito del deficit e affrancandola da elementi aggiuntivi handicappanti. Per questo, è bene considerare il problema secondo una prospettiva anche soggettiva che tenga conto della esigenze specifiche e del ruolo sociale occupato dalla persona interessata (il deficit ha un impatto molto diverso se riguarda un intellettuale o una persona impiegata in attività manuali).
L’ipovisione
Quindi, trattare l’ipovisione significa considerare opportunamente i disturbi che possono riguardare la percezione della luce, dei colori, della tridimensionalità, ma anche le difficoltà percettive che variano a causa di caratteristiche che concernono l’ambiente e che, a loro volta, possono mutare nel corso della giornata; la persona ipovedente è influenzata da molteplici fattori ambientali e fisiologici che determinano impatti molto soggettivi; possiamo incontrare persone che presentano difficoltà a livello della visione centrale, altre a livello della visione periferica, determinando la caratteristica visione a tunnel, o soggetti in cui la capacità di movimento nelle ore notturne è seriamente compromessa. La persona con ipovisione può non rendersi conto di questi mutamenti che coinvolgono le sue stesse prestazioni o può, al contrario, esserne cosciente e mascherarne le conseguenze: solo conoscendo il deficit visivo con un certa precisione si riuscirà a comprendere alcune reazioni dell’ipovedente nell’affrontare le sue limitazioni o nel far emergere le sue risorse: può capitare, infatti, di rimanere stupiti nell’osservare determinate performances di persone con ipovisione.
Legge 138 del 2001
La legge 138 del 2001 – Classificazione e Quantificazione delle minorazioni visive “ha formalmente riconosciuto che la disabilità visiva non equivale alla mancanza completa della vista, né alla sua drastica riduzione quantitativa, accogliendo le raccomandazioni secondo le quali, nel valutare gli effetti invalidanti di tale disabilità, va tenuto conto non solo della quantità di visus residuo posseduto espressa sotto forma di frazione, ma anche della percentuale del campo perimetrico disponibile” (Fiocco, 2006, p. 47).
L’oftalmologia
I progressi dell’oftalmologia hanno ridotto i casi di cecità assoluta e ora gli ipovedenti sono in maggioranza (e in aumento) tra gli alunni con disabilità visiva; è risaputo che lo studente che abbia un danno visivo parziale (anche grave) manifesti problemi diversi da chi è completamente privo della vista; l’ipovisione, infatti, richiede forme specifiche di intervento riabilitativo e metodologie didattiche diverse (Cruciani, 2007, p. 60; La Mattina R. Olivi M., 1993).
“Per immaginare, la mente ha bisogno di immagini”.